lunedì 31 gennaio 2011

Un dissenso creativo per costruire la sfera pubblica


Da Ffwebmagazine del 31/01/11

Come recuperare l’apporto valoriale all’interno della gabbia democratica, in un momento in cui si discute solo di regole (spesso infrante)? Come bypassare indizi, prove, tecnicismi per tornare invece a seminare idee, proposte, bussole da utilizzare in chiave sociopolitica? Il dato di partenza è senza dubbio il riuscire a vivere responsabilmente la democrazia, ma in quale interstizio mentale individuare quell’epiteto? In quali atti, provvedimenti, comportamenti, iniziative riscontrare quel tratto di responsabilità che consente un’efficace presenza democratica? E a tutti i livelli, senza sbavature, incomprensioni o illusioni.

E al fine di distinguere tra particolare e universale, tra pubblico e privato, in una condotta di maturità civica che non può prescindere da quella che Giacomo Marramao definisce (assieme ad altre prestigiose firme ne Vivere la democrazia, costruire la sfera pubblica, quaderno della scuola per la buona politica della Fondazione Basso, edizione Ediesse) come “formazione continua”. In assenza della quale un cittadino semplicemente risulta acefalo, sprovvisto dei mezzi di sopravvivenza nell’agone democratico. Dove la conoscenza è l’aria che consente la vita, il sole che permette la fotosintesi clorofilliana dei pensieri, l’unica modalità di camminare nell’agorà sociale di una postmodernità che è ben oltre la postideologia, ma che, nonostante ciò, spesso si ostina a ragionare con lo specchietto retrovisore perenne, con lenti del passato. O falsamente incanalate verso fanatismi che, in quanto tali, coprono verità e rappresentazioni reali. Come escludere, quindi, il doloso tentativo di riportare indietro le lancette dell’orologio sociopolitico, al becero fine di criptare insuccessi o celare incapacità di leggere l’oggi?

Di contro si registra un doppio indebolimento dello Stato: verso l’alto, nell’ambito di una dimensione europea sempre più germanocentrica, e verso il basso, in municipalità che scalpitano in un tentativo glocalizzante di scardinare il concetto stesso di unità. Due piani critici nei confronti dei quali si rende imprescindibile un rafforzamento istituzionale che può trovare valido supporto in una nuova coscienza civile del cittadino. E non per una fittizia iniziativa intellettuale, come ormai da mesi certi commentatori superficiali definiscono ogni tentativo di dare un contributo di idee a problemi drammaticamente concreti. Ma perché sarà proprio ricostruendo una consapevolezza radicata e vivace da parte di ogni individuo di questo Paese, che verrà da un lato irrobustita la singola capacità di vivere la democrazia; e dall’altro stimolando lo Stato a offrire quella democrazia che tanto si decanta, anche nell’istante stesso in cui si tenta di demolirla.

Principale strumento del popolo, parafrasando Marramao, è quindi la conoscenza, la cultura, senza le quali un popolo semplicemente non è tale. Ma come pretendere di avere conoscenza di provvedimenti e opinioni, se non si creano i presupposti culturali alla comprensione di quei fatti? È questa volta sì futile utopia proporre fiumi di stampa e di notizie, ma senza offrire ai lettori gli strumenti per interpretare dichiarazioni, per scorgerne le contraddizioni, per avanzare controdeduzioni, per carpirne i significati più intimi. E non solo per smascherare pifferai e mistificatori che purtroppo abbondano sulla scena, ma principalmente per essere vivi, cittadini socialmente attivi, in grado di partecipare.

Eccolo il termine tanto di moda nella politica moderna dei gazebo e dei sondaggi, quella politica che mostra di sforzarsi sino all’inverosimile nel dare la parola agli elettori, o rispettare la volontà degli elettori, o che fa di tutto per non tradire il mandato degli elettori. Ma che poi non profonde il medesimo sforzo per educare gli elettori, per formarli, per allenarli a capire. Perché sarebbe proprio in quell’istante che l’elettore meccanico, quello per intenderci abituato e bere slogan o a firmare diseducativamente appelli contra, che imparerebbe a dissentire creativamente, ad eccepire offrendo un’altra strada da imboccare.

In poche parole, a essere cittadino veramente attivo e partecipe, per giungere così al culmine materiale della libertà, per averla tra le mani, per utilizzarla fino in fondo, per non sprecarla, per apprezzarla, per farne tesoro. Perché, come ha detto John Kennedy «la libertà senza l’istruzione è sempre in pericolo, e l’istruzione senza la libertà è sempre inutile».

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