Da Ffwebmagazine del 15/01/11
«Non è moralismo, non si parla in questo caso di stile di vita, ma una condotta che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica considererebbe in contrasto con la dignità che la carica istituzionale di un governo reclama». Così Pierluigi Battista in un fondo sul Corriere della Sera di oggi, commenta il caso Ruby e la richiesta dei magistrati del rito abbreviato a carico di Silvio Berlusconi, indagato per concussione e prostituzione minorile. Proprio il quotidiano di via Solferino, per prassi moderato ed equilibrato, offre una panoramica attenta e scevra da strumentalizzazioni sul fatto del giorno.
«Un pessimo biglietto da visita» proprio alla vigilia delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità, prosegue Battista, per questo si rende necessario che ai cittadini venga offerta chiarezza: e sotto il profilo politico e morale, prima ancora che su quello squisitamente giudiziario. «La verità prima di tutto» è il filo conduttore, dal momento che non sarà un momento particolarmente costruttivo quello in cui i giornali di tutto il mondo, daranno rilievo a un paese al cui vertice siede un premier accusato di tali reati».
Una verità, sottolinea Battista, da perseguire «senza ostacoli, dilazioni, ostruzionismi». Così come l’intero centrodestra è libero di credere di essere ancora una volta oggetto di una campagna contra, anche la pubblica opinione è altrettanto libera di richiedere un rapido chiarimento dal premier, e considerata la cifra delle accuse. La tesi apparsa sul Corriere punta non solo sull’immagine dell’Italia, che sarebbe inevitabilmente colpita dal punto di vista della credibilità internazionale. Ma evidenzia come un chiarimento dovrebbe «essere in primo luogo richiesto proprio dal capo del governo».
Per allontanare sospetti, per riprendere la marcia dell’esecutivo, per eliminare ogni minuscolo indizio di colpevolezza. Perché se le accuse si rivelassero fondate «sarebbero ancora più gravi le implicazioni morali, istituzionali e politiche, che rischiano di travolgere di discredito non solo il premier ma, e stavolta immeritatamente, tutt’intera la compagine governativa». Per questo Battista sostiene che non si possa epitetare come “moralismo” lo sconcerto pubblico suscitato all’indomani delle notizie del caso Ruby, né concernente uno stile di vita personale, discutibile ma «pur sempre confinato nel recinto di una dimensione privata che reclama protezione dallo sguardo intrusivo di un’inquisizione etica». Questa volta, invece, e qualora i fatti dovessero corrispondere a verità, si aprirebbero scenari che la maggioranza dell’opinione pubblica, anche quella che ha votato centrodestra, non condividerebbe.
A Berlusconi non può essere «toccato il diritto di difendersi in presenza di contestazioni infamanti - scrive l’editorialista - tra l’altro rese pubbliche, con uno zelo che autorizza ogni genere di malizioso accostamento temporale», e proprio all’indomani della pronuncia della Consulta sul legittimo impedimento, che di fatto smonta lo scudo giudiziario a suo favore. Ma è imprescindibile che gli «italiani sappiano».
Inoltre il rito abbreviato chiesto dai magistrati, e sul quale il premier si è espresso con durezza («i giudici sovvertono la democrazia») e che i suoi difensori hanno bollato come «sintomo di eccessiva fretta», è visto nel ragionamento di Battista come un’occasione. Per uscire dalla non conoscenza dei fatti, per impedire storture. E per ottenere ciò, servirebbe un chiarimento immediato che «dovrebbe essere chiesto in primo luogo dal capo del governo, che si dice forte delle sue ragioni, e che dunque non dovrebbe avere alcun interesse a sottrarsi ad un giudizio in tempi brevissimi». Una condotta che se osservata da parte del premier con scrupolo e moderazione avrebbe un duplice risultato: da un lato sarebbe la testimonianza di un rispetto di se stesso fuori discussione, come è giusto che sia. Dall’altro, conclude l’analisi sul Corriere, rappresenterebbe una segnale di rispetto anche nei confronti «dei cittadini e del nome dell’Italia nel mondo. Senza ombre e senza equivoci».
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