"Potete ingannare tutti per un po', potete ingannare qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre". (A. Lincoln)
sabato 1 gennaio 2011
Napolitano parla ai giovanie a tutti gli italiani
Da Ffwebmagazine del 31/12/10
Futuro, giovani, unità e onestà nelle disamine. Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica è stato un grande discorso. Perché ha saputo interpretare e rappresentare sogni ed aspirazioni di tutti gli italiani, anche di quelli che lo sono nell’animo senza avere una certificato che lo dimostra. Perché ha provato, con successo, a non nascondere deficienze e atteggiamenti sbagliati, ma senza cassare la speranza e la forza di ricominciare. Perché ha ricordato che è utile affiancare il futuro dei giovani a quello del Paese, per evitare che la democrazia sia in scacco.
La dedica iniziale, rivolta ai giovani, è illuminante per comprendere le finalità del messaggio. Che esprime preoccupazione per il malessere giovanile, vera spia di un disagio profondo, da risolvere solo con investimenti nella ricerca e nell’università. Il fatto che sia stato interrotto “il sogno di un continuo progredire”, all’indomani della crisi economica, non significa secondo Napolitano di essere autorizzati a rinunciare a desideri e speranze. L’anno appena trascorso è stato caratterizzato da incertezza in tutti i tessuti sociali, producendo uno stato ansiogeno stratificato. “Ma non possiamo farci paralizzare dall’ansia”, ha esortato. Quel malessere e quel distacco devono allora essere risolti da una classe politica “che deve fare la sua parte”, lasciando intendere che proprio le istituzioni non debbano sottomettersi quasi supinamente allo status quo, invocandolo come un alibi.
Il passaggio che invece manca alla politica italiana secondo Napolitano è la predisposizione ad un salto di qualità: negli obiettivi, nei principi, nelle modalità di azione. In quella direttrice volta a guardare finalmente lontano e senza nascondere problemi e criticità, in una logica di ampio respiro, che eviti di concentrarsi stoltamente solo sulla contingenza, ma investendo nelle infrastrutture sociali di domani. Prevedendo scenari, implementando alternative valide ed occasioni di sviluppo. Allontanando una condotta perennemente ingabbiata nelle emergenze della quotidianità. E ciò anche in virtù di uno strumento che prende il nome di ascolto, soprattutto nei riguardi di quel disagio giovanile manifestatosi in occasione della riforma dell’università.
E a proposito del quale lo stesso Capo dello Stato ha sì firmato il provvedimento, ma con una segnalazione al Premier circa alcune preoccupazioni rispetto a specifici articoli della riforma.
Esprime preoccupazione per il futuro Napolitano, con preciso riferimento a quello delle giovani generazioni, in balia di un’incertezza di fondo alla quale una classe dirigente responsabile deve saper parlare, offrendo magari “l’opportunità di partire alla pari”. Senza dimenticare il momento negativo dell’intero comparto del lavoro, con i dati sulla disoccupazione che segnano 24,7% tra i giovani (di età compresa 15-24 anni), con punte di 35% al sud. “Dati che devono essere un continuo assillo della Nazione”. E in una fase in cui vi è troppa difficoltà di vita quotidiana nelle fasce deboli, per mettere a frutto le potenzialità “di cui siamo stati ricchi in questi 150 anni di unità”. E proprio dall’unità, dal centocinquantesimo anniversario che si celebra quest’anno, che il Presidente della Repubblica intende richiamare tutto il Paese all’ordine. I cittadini, affinchè non siano solo spettatori di avvenimenti e provvedimenti, ma agiscano in prima persona per migliorare. I giovani, ai quali si chiede di partecipare, condividere ma allontanando le tentazioni violente. E la politica, alla quale si chiede di affrontare “questo tornante storico” con serietà, con scelte significative anche se difficili. Rammentando che nulla “potrà oscurare il bilancio di unità e rinascita dello Stato nazionale”, un faticoso cammino come ricordato tra l’altro anche dal Pontefice.
Per questo si rendono indispensabili iniziative riguardanti il welfare, con l’urgenza di mettere in pratica politiche per il contrasto alla disoccupazione, riduzione del debito pubblico, superamento del divario (non solo infrastrutturale) tra nord e sud del Paese, rafforzando il sentimento di unità nazionale utilissimo anche in chiave comunitaria. Solo in questo modo sarà possibile l’unione politica del vecchio continente che stenta ancora a parlare con una voce univoca. Napolitano non dimentica di far valere il suo ruolo super partes (“Vorrei fosse chiaro che sto ragionando sul da farsi nei prossimi anni ; giudizi sulle politiche di governo non competono al Capo dello Stato, ma appartengono alle sedi istituzionali di confronto tra maggioranza e opposizione, in primo luogo al Parlamento"), che gli ha conferito, non da oggi, stima e considerazione soprattutto da parte dei cittadini, anche di quelli disaffezionati alla politica. Un atteggiamento che lo ha portato a ribadire l’inutilità di condotte che fondano il proprio operato sulla contrapposizione e sull’asprezza del confronto, che trascende spesso anche le comuni e basilari regole della civile convivenza. Le sfide che attendono il Paese si moltiplicano esponenzialmente, per questo si rende necessario un repentino cambio di passo della politica, attraverso due capisaldi: condivisione e compattezza. La prima è imprescindibile, in quanto gli obiettivi comuni, in momenti particolarissimi come quello in cui il Paese versa, devono stimolare a unire le energie per produrre soluzioni non temporanee. E ciò in virtù di una compattezza istituzionale che travalichi finalmente gli scenari di abituali differenze. Riposte in secondo piano, per il bene del Paese.
Ma Napolitano ci tiene a precisare che il dibattito politico sulle criticità italiane è stato troppo spesso negli ultimi tempi un confronto tra "ottimisti" e presunte "cassandre", per questo ha riflettuto come “proprio perché non solo speriamo, ma crediamo nell'Italia, e vogliamo che ci credano le nuove generazioni non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo. C'è troppa difficoltà di vita quotidiana in diverse sfere sociali, troppo malessere tra i giovani. Abbiamo bisogno di non nasconderci nessuno dei problemi e delle dure prove da affrontare : per poter suscitare un vasto moto di energie e di volontà, capace di mettere a frutto tradizioni, risorse e potenzialità di cui siamo ricchi. Quelle che abbiamo accumulato nella nostra storia di centocinquant'anni di Italia unita".
Proprio il prestigioso anniversario, deve invece rappresentare uno sprono non solo per avviare iniziative culturali e sociali, ma soprattutto per interrogarsi su cosa significhi oggi, dopo un secolo e mezzo, essere cittadini italiani. Con le evoluzioni che inevitabilmente la storia offre a società e singoli individui, con le riflessioni su come migliorare questo senso di appartenenza che, più che essere legato ad un luogo o ad una terra specifica, dovrebbe ampliarsi come un’aria da far respirare a tutti, rimarcando il sentimento di condivisione, di accoglienza e di responsabilità. Senza del quale una nazione resta drammaticamente tale solo sulla carta.
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