Da Ffwebmagazine del 28/01/11
«Non vogliamo essere nemici di Berlusconi, noi siamo giornalisti e basta, come i magistrati sono magistrati e basta, per questo manifesteremo dinanzi al Tribunale di Milano il prossimo 13 febbraio, senza partiti e senza bandiere». Michele Santoro denuncia il livello di emergenza totale raggiunto dall’informazione italiana, e non solo all’indomani della telefonata in diretta del dg Masi. Intervento definito di “censura preventiva” andata in scena pochi attimi prima che nella puntata di Annozero (settemilioni e centomila telespettatori) andasse in onda la sigla. Perché qui si sta verificando un corto circuito pericoloso, dove i fatti sono chiari: c’è una striscia di approfondimento televisivo sul servizio pubblico che è seguitissima, con introiti pubblicitari importanti per la rete, che ovviamente batte gli altri programmi in onda sulle altre emittenti e per questo non è poi così gradita.
Ci sono le intercettazioni dell’inchiesta di Trani, da dove emerge la richiesta dello stesso Premier rivolta al commissario dell’Agcom Innocenzi di “chiudere Santoro”. C’è una vetrina sui fatti dell’indagine in corso da parte della procura di Milano a carico del Premier, ma non solo, dal momento che Annozero in passato si è occupata (spesso in solitario) anche di mafia, di immigrazione, di lavoro, di spazzatura. Mai però il bavaglio all’informazione che fa informazione (e dunque dà fastidio) era apparso così stringente.
Tra l’altro il ministro delle Comunicazioni Romani ha scritto al presidente dell’ Agcom per segnalare le violazioni che la Rai, a suo dire, “ha concretato nel corso della trasmissione del programma Annozero del 20 e del 27 gennaio in relazione ai generali obblighi derivanti dal contratto di servizio”. Ma come, si chiede Santoro, la Rai “in quanto servizio pubblico risponde semmai al Parlamento e non al governo”.
E poi c’è la questione degli ospiti: sino ad un’ora prima della puntata di ieri, l’ospite del Pdl doveva essere il capogruppo Cicchitto, ma negli studi della Dear ecco presentarsi un altro deputato, Francesco Paolo Sisto (legale di fiducia del Ministro Fitto), che «noi non avevamo invitato», prosegue Santoro. «Un partito non può decidere chi devo invitare nella mia trasmissione». Ecco allora che è giunto il momento di «indignarsi, perché non può essere tutto costruito sull’umoralità di Berlusconi, che non può nevrotizzare» l’intero sistema. Siamo di fronte allo «stravolgimento della democrazia», rileva Santoro, in nessun altro contesto democratico avvengono infatti episodi del genere.
L’ingerenza ormai è acclarata, ma il dato ancora più grave è che il Paese si stia abituando a tutto ciò: siamo cioè in presenza, rileva Marco Travaglio, di un «percorso di guerra evidente per chiudere la trasmissione». E cita un parallelo con l’Italia del 2002, quando Enzo Biagi fu colpito dall’editto “bulgaro” siglato proprio da Berlusconi. In quell’occasione nessun quotidiano parlò genericamente di lite tra il giornalista ed il Premier, dal momento che «era abbastanza evidente chi attaccava chi». Mentre oggi si assiste alla mistificazione, quando ad esempio alcuni giornali scrivono «lite Premier-Lerner», quando invece tutti sanno che si è verificato un attacco diretto e scomposto del Presidente del Consiglio ad una trasmissione, al suo conduttore ed anche alle sue ospiti. Eccolo il circuito del fango, del timore di chi pone domande e si interroga sulle cause di fatti ed opinioni.
Ma davvero il Paese che ha dato i natali a penne illustri come Dante, Montanelli, Leopardi, Pascoli, vive questo primo decennio del secolo con la minaccia di museruole mediatiche e ritorsioni burocratiche? Davvero la Nazione che possiede l’80% dei beni archeologici del pianeta, culla della storia e della cultura, vede così sfiorire il proprio nome e l’immagine di sé nel mondo, a causa della contaminazione forzata tra il pubblico ed il privato di una sola persona?
Il caso di Santoro, con le performances televisive di Berlusconi fatte a Ballarò e all’Infedele, assieme all’assurdo provvedimento di “spegnere i talk show” andato in onda lo scorso anno in concomitanza delle elezioni regionali, meritano sdegno dall’interno, ed attenzione dall’esterno del Paese. Perché non c’è rimpasto che possa sanare questa lacerazione così profonda, tale svilimento di professionalità e finanche delle stesse istituzioni, utilizzate per compiti diversi da quelli concernenti la res publica.
Semplicemente non si può continuare a inquadrare uno Stato, un servizio pubblico, un’istituzione come il Parlamento, alla stregua del proprio orticello o prato inglese, dove dare party o dove far eruttare vulcani con lava annessa. Perché quella lava, così bella e folkloristica da ammirare, altro non è che l’illusione finale di un mondo di plastica. Che sta bruciando.
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