venerdì 14 gennaio 2011

Ma l'allarme sociale fomenta solo false paure


Da Ffwebmagazine del 14/01/11

Un indecifrabile calderone di paure, dove tutto viene fatto confluire spargendo timori tra la gente, costretta a respirare un’aria malsana, fautrice di quel grado zero del pensiero che avvia una rivoluzione all’indietro. È la società della paura, della propaganda ansiogena, dove eventi e fatti vengono esponenzialmente veicolati sotto il comune denominatore della sicurezza, erroneamente divenuta ormai il vero nemico sotterraneo che si aggira per città e quartieri.

Ma che cosa s’intende oggi per sicurezza? Perché viene così esageratamente invocata, da tutti, in ogni dove? Dai politici di tutte le fazioni, in ogni comizio, dai sindaci, dai capicondomini, dai giornali e dalle televisioni, dai commercianti, dagli insegnanti. Come mai, nonostante il tasso di criminalità in Italia sia più o meno identico da dieci anni a questa parte (dati Caritas Migrantes) si continua a proclamarne l’incremento a causa della presenza degli immigrati? Ha detto Amartya Sen “non dobbiamo permettere mai che la nostra mente sia divisa in due da un orizzonte”. Perché impedisce di scorgere i particolari delle cose, gli interstizi che ne determinano poi cause ed effetti reali. Perché rilevanti all’ennesima potenza, perché lontani anni luce da rappresentazioni e spiegazioni grossolane, improntate al facile populismo, alle analisi pressappochiste, dove contano solo slogan e facili applausi. Talmente facili da rivelarsi controproducenti, non solo per chi li riceve illudendosi di fare il bene comune, ma soprattutto per chi li quegli scrosci di mani e dita fa partire illusoriamente.

E invece la società post moderna, della globalizzazione, del progresso, dove tutti possono tutto, con uno slancio ipertecnologico notevole, con traguardi nuovi e innovativi, proprio quel tessuto socio-culturale è oggi avviluppato attorno al tema sicurezza. Quasi che si fosse attorno ad un falò, accovacciati in attesa della prossima violenza. Di cui dissertare in ogni ambito, da cui far partire ragionamenti sui battiti di ciglia e proposte effimere, a cui imputare paranoie e mistificazioni della realtà. Senza rendersi, invece, conto di come ciò corrisponda a una falsa narrazione, dove sono state spruzzate dolosamente paure e false descrizioni di un mondo che semplicemente non c’è. E che viene visto con lenti sfocate, che contorcono il panorama veritiero.

Una stratificazione antirazionale che è stata piacevolmente raffigurata nel volume Dieci in paura, a cura di Maria Nadotti (edizioni Epochè), nato dall’idea di Mariano Bottaccio e del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza). Dove con dieci racconti diversi e peculiari, si cerca di rispondere, magari partendo da quella massima di Hannah Arendt secondo cui «dove tutti mentono riguardo a ogni cosa importante, colui che dice la verità, lo sappia o no, ha iniziato ad agire».

Perché non è sufficiente condannare una deriva sbagliata, evidenziarne le criticità, ma si rende imprescindibile spostarsi nella direzione opposta, far comprendere come le paure si possono e si devono combattere grazie alla libertà di pensiero, alla logica soluzione degli enigmi della mente, scrostando i luoghi comuni e le facili assonanze, come immigrati uguale criminali, o disoccupazione per gli italiani. In quanto è vero esattamente il contrario, dal momento che essi contribuiscono al Pil italiano per il 10% (dati Istat e Caritas Migrantes), perché senza il loro apporto molte imprese agricole, edilizie, manifatturiere chiuderebbero, oltre ai milioni di anziani che rimarrebbero senza le preziose badanti. Piccoli dati, fra le righe di un simpatico volume, che non farebbe male a quegli amministratori che, proiettati nella quotidiana attività politica e comunicativa, dimenticano di approfondire dati ed analisi prima di parlare apertamente e con sorprendente convinzione di sicurezza, immigrati, vita reale e piani di emergenza.

Un’emergenza che, a questo punto, è solo nella mente di cittadini e politici. Preda, a seguito della caduta del muro di Berlino, di una «fulminea narcosi della ragione», definita nel libro «ebbrezza del modello unico, stordimento divorante: promessa di consumo per tutti, garanzia di profitto per pochi». Con precise responsabilità da parte dei media, ancora una volta inscientemente presenti nell’amplificare notizie, per bypassare commenti e valutazioni in chiave sensazionalistica, lontani sideralmente da ciò che invece accade. Sarebbe sufficiente scorgere qualche titolo nei pezzi di cronaca per rendersene facilmente conto, come quando si dà notizia di un reato puntando sulla nazionalità di chi lo ha commesso, tralasciando la notizia in sé. Perché fa comodo instillare il germe epilettico della diversità, perché non serve uno sforzo culturale nello spiegare, magari terra-terra, che è sempre colpa degli altri.

Mentre invece si sta pericolosamente inceppando l’immaginazione sociale, la delucidazione politica anche di un inconscio personale allo sbando. Con giornalisti trasformatisi in istigatori di paure sociali, che evitano accuratamente di agire sugli stereotipi per abbatterli, per scacciarli definitivamente, per tornare a parlare, ad ascoltare, a ragionare, senza quell’elettricità diffusa a tutti i livelli. Senza quell’isteria che va dai consigli su come perdere i chili post festeggiamenti natalizi ai suggerimenti per evitare le truffe agli anziani, dagli squilli anonimi (che inquietano uno dei personaggi raccontati nel libro) alle più dure politiche di repressione degli stranieri «che rubano il lavoro agli italiani». Non volevamo fare un libro, scrivono in coda gli autori, ma «aiutare a pensare, a diffidare di un nuovo senso comune».

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