mercoledì 12 gennaio 2011

Quel coraggio di dire “no”, anche a chi offre uno stipendio


Da Ffwebmagazine del 12/01/11

Quando Pablo Neruda non era ancora Pablo Neruda, ovvero quando lo era ma la gente non lo sapeva, il cileno, che divenne Premio Nobel nel ’71, era solo un poeta universitario. Tra i morsi della fame, come ricorda in Confesso che ho vissuto, in una stanzetta presa in affitto nei pressi della facoltà di Pedagogia di Santiago. Ma nella quale l’animo libero e arioso di Pablo non durò molto, per via del fare invadente del padrone di casa, il quale spiava la sua corrispondenza, controllava i suoi libri con fare, appunto, padronale. Un atteggiamento semplicemente respinto da Neruda, pagando il prezzo che si doveva (e che si deve) alla libertà, quel coraggio di scegliere un’alternativa a qualunque costo. Fuggì in un altro alloggio, situato in una soffitta altissima, dove restò a lungo: povero, ma libero. Niente compromessi, niente servilismi, niente teste basse o sguardi svuotati. Ma coraggio allo stato puro: di scrivere, di dedurre, di testimoniare.

Il coraggio di dissentire, di rinnegare, di parlare apertamente e con franchezza di tutti, amici e non, di datori di lavoro vecchi e nuovi. Come fece Indro Montanelli all’indomani della sua uscita dal Giornale che aveva fondato. L’episodio è stato ripreso, tra mille altre cose (per lo più piccoli retroscena o presunti tali), in un’intervista fiume che Vittorio Feltri ha concesso al quotidiano Italia Oggi. L’ex direttore del Giornale di famiglia ora editore di Libero assieme a Maurizio Belpietro, colpito da un provvedimento dell’Ordine dei giornalisti di interdizione per alcuni mesi, non avendo quindi facoltà di scrivere, si è dato alle analisi a trecentosessanta gradi. Con risultati sorprendenti. «A Cortina? Faccio anche del cabaret, delle battute». Come mai, gli viene chiesto, nonostante sia un ateo si è sempre circondato di esponenti di Comunione e Liberazione? «I giornali non devono essere monocordi – risponde - non mi sono mai posto il problema di Cl». E sui rapporti con il presidente del Consiglio: «Gli ho presentato io Sallusti, non lo conosceva, sbagliava pure il cognome». Sì, certo, come quando in una conferenza stampa che chiudeva l’incontro bilaterale Spagna-Italia, anziché Gianpi Tarantini, chiamò l’imprenditore pugliese Tarantino.

E ancora: «Berlusconi mi disse che suo fratello Paolo era soddisfatto del mio lavoro», facendo intendere che addirittura il premier riferiva a un sottoposto del gradimento del familiare editore, in una mescolanza di ruoli che fa certamente sorridere. Parla anche del Riformista, giusto per non farsi mancare nulla e non far mancare nulla ai lettori: «Un giornale che non aveva senso, proprio come la parola riformista. In Italia tutti i guai sono arrivati proprio dalle riforme». Del duo Sallusti-Santanchè, direttore e responsabile della pubblicità del Giornale oltre che sottosegretario, invece, dice: «Sono una coppia, ma non so se sono un’accoppiata».

Ma il meglio, o il peggio, lo riserva in coda all’intervista, dettaglio che quindi ci ha costretti a leggerla tutta, quando ricorda di Montanelli: «Da Santoro disse che Berlusconi era un manganellatore, e giù insulti. Lui non poteva attaccare così uno che gli aveva pagato lo stipendio per 17 anni». E no, a quest’ultima frase non si può non eccepire. Ecco la mentalità padronale, dove basta un capo che con una busta paga acquista menti e dita che scrivono per spegnere megafoni e idee. Dove sono in voga i verbi assecondare, asservire ed eseguire. Una deriva che, nonostante le prese di distanza siderali dal vecchio mondo sovietico, proprio a esso si ispirano, tra nomenklatura che decidono ed editti contra.

Ma quei 17 anni di stipendio berlusconiano non sono però riusciti nell’impresa delle imprese: zittire una voce libera, un professionista dalla schiena dritta, senza padrini e senza padroni. Un esempio da non dimenticare, da scolpire in tutte le bacheche delle redazioni, e di cui periodicamente ricordare la valenza.
Quel “no”, quel “non ci sto”, piaccia o meno a Feltri, è sinonimo di libertà. Libertà vera.

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